Per Gerardo Mombelli, Stefano Rolando


Per Gerardo Mombelli
Roma, 4 ottobre 2017
Stefano Rolando

Tornammo insieme dagli uffici della Commissione a Bruxelles all’Hotel Amigo, dietro la Grande Place, che era quasi sera. Avevo incontrato il commissario italiano all’industria e alla tecnologia, nientepopodimeno che Altiero Spinelli. Credo fosse l’autunno del 1971. Io avevo 23 anni, lui – Gerardo – già si comportava come un fratello maggiore, come poi fu per il resto della vita, sia nei giorni di intensa frequentazione sia in quelli – dovuti ad estraneità, chiarite o meno chiarite – diciamo più radi.
Gerardo era al tempo il portavoce di Spinelli, io non ero ancora laureato ma scelto (come solo allora si poteva immaginare) per una ricerca impegnativa sull’economia siderurgica nei paesi del bacino del Mediterraneo. Spinelli, appurato che non ero un fesso (Gerardo come sempre aveva fatto un buon lavoro) mi spiegò che il posto di lavoro non era Bruxelles ma Algeri e mi fece girare sui tacchi.
Un anno dopo gli consegnai i rapporti di ricerca e passai ad altro nella vita.
Poi Gerardo venne a Roma mentre io continuavo a girare per il mondo. Nel 1976 fu lui a controfirmare la mia domanda di iscrizione al Partito Socialista, nel momento buio del declino elettorale sotto il 10%.
Non dipendevo professionalmente dalla politica. Ma sentivo che bisognava testimoniare a favore di un nuovo corso. La mia sezione era quella di via di via Spontini, leader delle discussioni era Paolo Leon. Gerardo era già diventato uno da cui andare per “vuotare il sacco”, percepire la sua interpretazione dei fatti, con il suo ammiccare all’ingiù se si trattava di disapprovare o all’insù se si trattava di promuovere.
Io continuai le mie mobilità – prima la Rai, poi il Luce – infine nel 1985 l’approdo, con Giuliano Amato, a Palazzo Chigi. Lì la nostra interlocuzione fu assidua e su tutto. Già il suo ruolo era ambasciatoriale. Ascoltare, interpretare, suggerire, mediare. Con vari di noi – noi presenti qui stasera – lo faceva. Ma non con tutti. Aveva di solito a disposizione le tessere dei fatti che mancavano per capire meglio.
Fu così che ci imbarcammo in alcune vicende in cui lui ha avuto grande ruolo.
• Parlo di Eurovisioni – che io presiedetti dal 1992 al 1995, dopo l’ambasciatore francese Myet e prima di Kristof Zanussi e Luciana Castellina e in cui Gerardo ancorò la parola Euro alla parola visioni, con quel legame alle politiche per il cinema e l’audiovisivo che in quegli anni vedevano noi italiani (insieme ai francesi) protagonisti e per le quali Carlo Ripa di Meana commissario aveva fatto molto, giovandosi della stretta collaborazione di Gerardo.
• Parlo del Club of Venice, tavolo di coordinamento informale dei responsabili della comunicazione dei governi e delle istituzioni dell’Unione Europea, che aprimmo – appunto con Carlo Ripa di Meana commissario – nel 1986 e che Gerardo visse sempre con spirito di animatore degli interessi generali dell’Europa e come leggittimatore istituzionale (di istituzioni che ora sono tutte radicate e molto rappresentate in un organismo che ha superato i 30 anni di attività e che ha al tavolo più di 100 operatori ed esperti).
• E parlo della Associazione della comunicazione pubblica e istituzionale che fondai nel 1990, anche qui con 100 pionieri della professione, in posizioni tecnicamente rilevanti nelle amministrazioni nazionali e territoriali e rispetto a cui Gerardo, primo cofondatore, rappresentava il legame alle esperienze che in altri paesi (sempre in prima linea i francesi) andavano facendo attorno alla ridefinizione deontologica e alla richiesta di regole moderne. Lui ha assunto la presidenza dopo il ‘95 ed è un impegno che ha mantenuto per la vita.
Insieme a questi tratti di vissuto comune, Gerardo Mombelli sarà sempre nella nostra memoria per il suo europeismo né sentimentale, né retorico. Ma realistico e di metodo riformatore. Le cose possibili, quando possibile. E il senso vivo di una classe dirigente – tecnicamente ed eticamente preparata – all’altezza delle sfide. Ho letto su di lui che le cose a cui ha più creduto (politica, valori, istituzioni, generazioni, eccetera) le ha viste declinare così da vivere di delusioni nella parte recente della sua vita. È la storia di molti di noi. Ma l’essere stato parte di grandi storie non credo che produca nei migliori frustrazione, pura nostalgia, rancore. Ma un sorriso di superiorità, senza arroganze, e una disponibilità perenne a rimettersi al tavolo della discussione. Virtù che Gerardo ha avuto fino all’ultimo.